5 donne x 1 intervista – esperienze di pratica al femminile allo Shochikubai Dojo Roma
Un giorno eravamo tutte e cinque insieme intorno alla tavola, noi “quota rosa” del Dojo Shochikubai Roma.
In un momento di relax tra noi al di là del tatami, abbiamo cominciato a riflettere sulle nostre esperienze di pratica e, come un unico flusso, sono iniziati ad emergere aneddoti, riflessioni, spunti. Ecco dunque la nostra intervista a dieci mani.
INTERVISTATORE: “Stefania (6° kyu, 35 anni, italiana, l’ultima arrivata nel Dojo), pensi che nel 2024 si possa ancora parlare di differenze tra essere un praticante uomo o una donna e quale è stata la tua esperienza nel Dojo con i compagni e l’insegnante?”
STEFANIA: “Le arti marziali sono state inizialmente riservate agli uomini, e nonostante ormai sia possibile praticare anche per le donne, il numero di donne che le praticano è ancora generalmente inferiore rispetto a quello degli uomini. Negli anni la percezione è un po’ cambiata se si pensa ad un’arte marziale come ad un possibile strumento di autodifesa. Ma ciò è assai riduttivo rispetto alle finalità che un’arte marziale si prefigge. È un cambiamento interiore oltre che nella forma, è un percorso esterno quanto interno: noi donne siamo già naturalmente predisposte alla riflessione e alla ricerca dell’armonia, ma l’Aikido oltre che un’arte è anche Budo, ed in questo l’approccio “aggressivo” degli uomini gioca a loro favore.
Se l’Aikido è un arricchimento, deve poterlo essere per tutti, in modo che ognuno completi la propria parte mancante, nel rispetto della propria natura. Ogni persona, uomo o donna, è ricca di sfaccettature, con punti di forza e debolezza al di là del genere, ma trovo bello e stimolante, sia nella pratica sia nelle dinamiche relazionali, che il nostro Dojo sia composto da donne e uomini in egual misura.”
INTERVISTATORE: “E tu Ornella (6° Kyu, 53 anni, italiana, arrivata tra noi grazie alle lezioni al parco), pensi che le differenze fisiche possano essere più un vantaggio per le praticanti o uno svantaggio?”
ORNELLA: Una donna che approccia il mondo delle arti marziali sa bene che la possibilità di dover applicare una tecnica su un avversario fisicamente più prestante è un’ipotesi concreta.
Secondo me, l’aspetto più importante è che, nel salire sul tatami, una donna rifiuta il ruolo di vittima predestinata in un ipotetico conflitto e lavora sulla tecnica e sulle potenzialità del proprio fisico e del proprio carattere per trovare un modo, compatibile e adatto alla sua fisicità, di contrapporsi ad un avversario.
Sotto questo aspetto, quindi, non parlerei di vantaggi o svantaggi nelle differenze fisiche in quanto ciascuna avrà entrambi e dovrà armonizzarli.
Può risultare un vantaggio, invece, sapere di non poter contare sulla forza per ‘aggiustare’ una tecnica mal riuscita.
Infatti questo condurrà alla ricerca di una maggiore accuratezza nella tecnica ed a una più profonda conoscenza dell’aikido.
INTERVISTATORE: “Kader (6° kyu, 29 anni, Curda, tra le prime allieve dello Shochikubai), come hai vissuto come vivi l’esperienza dell’Aikido con i tuoi compagni di pratica? Cosa stai cercando e cosa hai imparato vivendo la pratica e il Dojo?”
KADER: Quando ho iniziato a frequentare il Dojo ero in guerra con me stessa e con il mondo. Cercavo un modo per sfogare la mia energia in eccesso e la rabbia e stavo cercando a Roma uno sport di combattimento. Invece un po’ per caso mi sono imbattuta nell’Aikido. Non avevo aspettative e non sapevo assolutamente cosa fosse ma ho voluto provare insieme alla mia amica Yoshino. Parto dal presupposto che secondo me tutte le persone dovrebbero avere una base di autodifesa, in particolare le donne. Più andavo avanti più mi accorgevo che quello che trovavo era molto distante dal concetto di violenza che immaginavo. Anzi tutto andava nella direzione opposta. Ho scoperto piano piano che, la pratica che inizialmente immaginavo solo fisica, contiene al suo interno un sistema filosofico complesso e profondo. E’ proprio questa profondità che mi ha catturato e mi spinge a continuare.
Ho trovato, grazie alle calligrafie che il maestro ha portato nel Dojo, un concetto che mi ha colpito molto e che ritrovo sia nel gruppo dell’Aikido, sia nella vita quotidiana. Il significato di questa calligrafia è circa “Da soli si va veloci, insieme si va lontano”.
INTERVISTATORE: “Yoshino (4° kyu, 38 anni giapponese, insieme a Kader, le prime allieve del Dojo), come descriveresti il rapporto con il tuo maestro come donna praticante e come persona giapponese?”
YOSHINO: Io e il mio maestro guardando da fuori mi sembra che abbiamo un rapporto abbastanza normale; io che gli chiedo insegnamento e lui me lo dà come tutti gli altri maestri e allievi nel mondo. Ma in realtà fin dall’inizio sentivo e sento energia che circola tra di noi. Sono una sua allieva da circa 5 anni e col passare del tempo quella energia cresce piano piano. Secondo me perché la percepiamo ed alimentiamo tutti e due, ovviamente con modi diversi ma comunque indirettamente le diamo linfa vitale.
Il mio maestro è Paolo Narciso, un uomo italiano (di origine abruzzese e romana), 4 dan. Pratica da più di 30 anni con vari maestri internazionali mentre io sono una donna giapponese che è nata e cresciuta in Giappone ma attualmente vive a Roma.
Aikido non l’avevo mai né sentito nominare né praticato nella mia vita finché non sono andata al dojo di Paolo: Shochikubai Dojo Roma. Noi siamo Yin e Yang. E credo proprio siano questa diversità e l’opposto che ci danno la possibilità di costruire un rapporto particolare. E poi c’è la fede circolare come il simbolo del Tao. Paolo è molto percettivo ed attento. Ma se tu fossi un maestro con allieve femmine e se non pensassi ed osservassi attentamente le diversità del loro corpo, delle loro caratteristiche fisiche (sia difficoltà che potenzialità) e la mentalità delle donne sul tatami sarebbe molto complicato insegnare alle donne. Idem per le maestre con allievi maschili. Poi non dimentichiamoci il fatto che l’Aikido proviene da un mondo totalmente opposto rispetto all’Italia. Se uno non comprendesse la cultura, la tradizione e lo spirito di quel mondo rimanendo sulla superficie sarebbe un’occasione persa per approfondire la vera via dell’Aiki.
Al di là di queste cose fondamentali, per primo il mio curiosissimo maestro studia ogni giorno sul tatami ma soprattutto fuori tatami come se fosse il primo giorno della pratica. Ed io sto riconoscendo consapevolmente la mia cultura attraverso l’Aikido e in ogni pratica c’è una nuova scoperta del mio paese natale Da questo punto di vista, anche se contribuisco poco, credo di aggiungere qualcosa in più alla ricerca del mio maestro che si radica silenziosamente verso il profondo. Io invece quel poco che posso offrire praticando con lui mi torna sempre indietro dieci o venti volte più grande come il nutrimento per gli alberi che crescono sopra radici solide. E’ così che la linfa vitale gira.
INTERVISTATORE: “Flavia (1° dan, 42 anni, italiana, senpai) pensi il Dojo sia un luogo dove la fiducia è un requisito importante? Quale è la tua esperienza?”
FLAVIA: E’ un grande insegnamento imparare ad adattarsi continuamente a chi ci troviamo davanti, vedere nell’altro un’occasione di sfida e crescita allo stesso tempo. In particolare imparare a rispettare le differenze, i tempi e i corpi dei compagni, è una vera miniera di apprendimento. Sapere che l’altro farà di tutto per non arrecarci danno è requisito essenziale! La fiducia si deve declinare necessariamente verso ogni membro del Dojo ma ancor di più verso l’insegnante, riconoscendogli che sicuramente agirà per il nostro bene e per il bene del Dojo, anche se non vediamo sempre immediatamente come.
Ho parecchie esperienze come senpai su questo tema ma in particolare ricordo il giorno in cui i più “giovani” hanno fatto per la prima volta pratica delle tobi-ukemi. Chi più spaventato, chi meno si sono cimentati tutti. Tranne una compagna di pratica, che aveva ripetuto per varie lezioni “no, no, no, io non farò MAI quella caduta”. In quel momento mi sono resa conto della doppia difficoltà del mio ruolo: da una parte quella di essere senpai, essendo l’allieva più anziana e dall’altra, quella di praticante donna.
In entrambi i ruoli ho sentito di essere io la persona giusta per poterla incoraggiare e motivare. Era importante guadagnare la sua fiducia e permetterle. Sapevo Infatti che tutto sarebbe accaduto naturalmente, non appena i tempi fossero stati maturi. Eccola quindi, dopo qualche tempo e dopo aver osservato a lungo me e gli altri compagni, lanciarsi in modalità kamikaze e rialzarsi un po’ dolorante ma illesa. Ricordo i suoi occhi sgranati e increduli per esserci davvero riuscita. Si è data la possibilità di provarci, ha ascoltato, seguito l’esempio e ora avanza verso nuove sfide. In questo processo di crescita, la nostra alleanza e il nostro riconoscimento reciproco come donne, ha giocato e gioca tutt’oggi un ruolo fondamentale.
Ritengo per me essere un privilegio e una grande occasione essere una senpai donna in un Dojo con una grande parte al femminile.