Sul numero di marzo della storica rivista Samurai, Leandro Spadari ha intervistato il presidente della nostra Associazione. La riproponiamo, ringraziando ancora Samurai e l’intervistatore.
Intervista a Ferdinando Silvano, presidente di un’associazione attiva dal 2008, riconosciuta dall’Hombu dojo dell’Aikikai del Giappone, e con la mission di promuovere l’Aikido al di là delle differenti scuole e dell’insegnamento dei singoli maestri
di Leandro Spadari
Percorrendo giornalisticamente il grande e frastagliato mondo del budo italiano, ci è capitato e capita di incontrare persone “speciali”… persone che hanno effettuato nell’arco della loro vita un intenso e convinto percorso nella pratica delle arti marziali e che, rifuggendo da ogni preconcetto dogmatismo, sanno approcciarsi in termini caratterizzati da grande realismo e praticità, se vogliamo espressione di una apparente “semplicità” emblematica comunque a pieno titolo di quel vissuto, e che non manca di fare catturante presa sull’interlocutore di turno… E’ il caso di Ferdinando Silvano, presidente dell’Associazione ProgettoAiki.
Dopo una esperienza di pratica del karate, ha iniziato quella dell’aikido nel ‘73 a Torino con il maestro Franco Cuzzupè, proseguendo sotto la guida dei maestri Mario Florio e Renato Visentini. Cintura nera nell’81 con il maestro Motokage Kawamukai, secondo dan-istruttore nell’83 con il maestro Giovanni Filippini, è terzo dan nella Filpj con il maestro Tomita Takegi nell’87 e nello stesso anno diventa allievo di Christian Tessier, ottavo dan shihan. Consegue il quarto dan a Parigi nel ‘93, e il quinto dan a Napoli nel ‘99. Già dirigente della Uisp in qualità di coordinatore della Commissione tecnica nazionale – settore aikido dell’Ado ( Area discipline orientali), consegue il sesto dan direttamente all’Aikikai di Tokio e nel 2019 è insignito dal Coni della croce di bronzo al merito sportivo.
– A quali ragioni si deve la nascita di “ProgettoAiki”?
Nasce nell’aprile 2008 su iniziativa di associazioni sportive per la maggior parte aderenti all’ Ado-Uisp: una ‘scissione’ che ha inteso porre al centro quello che potremmo definire un autoriconoscimento dell’aikido… chi fa aikido, fa aikido al di là delle differenze di natura tecnica, dell’appartenenza a questa o quella scuola, realtà che hanno certo un loro valore e una loro logica, ma che rischiano di diventare nel tempo come dei compartimenti stagni.
La nostra è un’associazione di secondo livello, un’associazione di associazioni con 48 società e 10 dojo affiliati su tutto il territorio nazionale. Quindi una diffusione abbastanza ampia, se vogliamo, caratterizzata dalla compresenza di linee tecniche differenti, riconducibili ai vari shihan di riferimento. Nel 2018 abbiamo ottenuto l’ambito riconoscimento dell’Aikikai di Tokio come ente di promozione della pratica dell’aikido alla luce degli insegnamenti di O sensei Morihei Ueshiba, e siamo quindi abilitati tra l’altro a conferire i gradi.
Tenuto anche conto della diffusione dell’aikido, occorre a mio avviso in termini generali una maggior apertura da parte di tutti. Con l’Aikikai d’Italia abbiamo avuto occasione di contatti, io mi sono incontrato con il suo presidente Franco Zoppi, ma al di là degli intenti espressi a parole, il nostro è stato un rapporto cordiale, da cui però non sono scaturite iniziative comuni. Loro sono ancorati a una e una sola linea tecnica, quella del maestro Hiroshi Tada, e per quanto sia una linea di altissima levatura, ragionando così si precludono delle collaborazioni che sono invece auspicate dal doshu e dall’Aikikai Hombu. Qui si pone anche l’aspetto collegato al ruolo degli insegnanti, che per la legge italiana devono essere riconosciuti dalle federazioni nazionali di riferimento o da enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni. L’aikido non è uno sport ma è pur sempre una disciplina motoria e per insegnarla ci vuole una ben precisa qualificazione.
Ogni ente di promozione ha una sua scala valoriale e ai fini della progressione tecnica di un praticante c’è bisogno di tale qualificazione tecnica in capo all’insegnante.Seguo questi aspetti in quanto responsabile nazionale per il settore aikido di Opes, e ringrazio il presidente nazionale Marco Perissa che mi ha concesso la sua fiducia. In tale veste riscontro come sia necessario il processo che sta modificando l’attività sportiva in Italia, con l’introduzione del registro del Coni cui devono essere iscritte le associazioni, gli insegnanti e i praticanti. Tutto ciò al fine di non perdere la qualifica di “associazioni senza fine di lucro”. Del resto il conferimento di un grado di per se è poco, è piuttosto un qualcosa che sta poi a noi riempire di contenuti e di significati.
– L’aikido non prevede forma alcuna di competizione. Ogni tanto si è sentito parlare ad esempio di proposte di punteggi a coppie su esecuzioni tecnico-dimostrative… qual è il suo pensiero in proposito?
Come noto l’aikido tra le sue caratteristiche non contempla l’aspetto sportivo, che invece potrebbe essere ritenuto importante per un maggior coinvolgimento dei praticanti più giovani e delle rispettive famiglie. D’altro canto questa mancanza di competizione può essere ed è elemento attrattivo in quanto si pratica l’aikido principalmente per la sua dimensione etica e filosofica, senza tutte quelle esagerazioni ed esasperazioni connesse all’agonismo, vedi per esempio il mondo del calcio. Tenuto anche conto dell’innalzamento dell’età media dei praticanti, penso che si debbano senz’altro trovare nuove forme di coinvolgimento attivo, è un dibattito in corso cui cercheremo di dare risposte adeguate ed efficaci.
– Tra i punti qualificanti di ProgettoAiki c’è, come abbiamo detto, la promozione della disciplina: focalizzando l’attenzione su quali aspetti o tematiche?
Uno strumento divulgativo è il nostro sito internet oggi in fase di aggiornamento. Con tale strumento parliamo della cultura tipica dell’aikido, ma anche degli aspetti di contabilità fiscale e delle problematiche legate al contenimento dello sviluppo della pandemia di virus C-1, del loro riflesso e conseguenze sulla pratica di palestra anche attraverso i vari protocolli. Occorre oggi essere partecipativi, presenti e consapevoli delle realtà del territorio – se non le vivi sei inevitabilmente ‘fuori’ -, con l’obiettivo di rilanciare il movimento aikidoistico nella sua globalità senza farsi condizionare, come ho già detto, dalle differenti interpretazioni e linee tecniche. Intendiamo far cadere tante barriere e collaborare in piena comunità di intenti con tutte le realtà che avranno compreso e coerentemente fatto proprio questo spirito. Tra i progetti concreti, la creazione di una banca dati delle cinture nere secondo e terzo dan che valga come certificazione dei requisiti posseduti. Se sei un insegnante ti confronti indubbiamente all’interno di un dato contesto, il tuo contesto di riferimento e non obblighiamo nessun responsabile tecnico a trasmetterci il suo personale calendario, importante è che il livello tecnico sia per quanto possibile di alto profilo.
Ci sono in giro ad esempio cinture nere quinto dan che hanno conseguito tale grado senza aver mai sostenuto un vero esame, semplicemente passando da una realtà organizzativa a un’altra, per esempio un ente di promozione, e ciò costituisce senza dubbio un aspetto abbastanza sconfortante. Per noi è fondamentale il livello e l’intensità del percorso vissuto, la storia personale, la tracciabilità, il rispetto delle regole… altrimenti chi potrà garantire gli allievi e la stessa immagine dell’aikido? Intendiamo dar vita ad appositi dipartimenti di studio in cui discutere e approfondire tematiche quali l’insegnamento ai bambini e quello agli adulti, la disabilità, il mondo donna, altro. Questi dipartimenti, assolutamente autogestiti, potranno fare tesoro dell’apporto di persone con esperienze importanti, che saranno messe a disposizione per creare dei protocolli che potranno arricchire l’operato della nostra associazione rendendolo sempre più adeguato ai tempi.
– La passione che oggi la prende per l’aikido è la medesima degli inizi, o in qualcosa è cambiata?
La passione iniziale devo dire che con gli anni non è decresciuta, anzi, come tutte le passioni che non si esauriscono in poco, è addirittura aumentata. La pandemia è stato un ostacolo che mi ha messo ad esempio alla prova, nei confronti di una disciplina di cui non ho mai interrotto la pratica per più di un mese e ciò mi ha fatto in un certo qual modo riconsiderare la mia stessa passione in un’ottica ancor più matura. Vedo l’aikido come un lungo percorso, un fil rouge che ha attraversato le situazioni della mia vita, una costante imprescindibile cui attribuire sempre una grande, significativa importanza. Ho consapevolezza del tempo trascorso nello studio di questa artistica disciplina, provo riconoscenza per i miei insegnanti e per l’entusiasmo e gli stimoli che mi hanno saputo trasmettere – cito in particolare Christian Tessier, che è la mia guida tecnica – e una grande gratitudine in assoluto nei confronti di O sensei per questa bellissima arte che ha creato, che mi ha aiutato a superare anche i problemi di salute, della vita, insegnando ad ‘armonizzarmi’ con le difficoltà di ogni giorno.
– La più grande soddisfazione…
Senz’altro quella di essere a capo di questa organizzazione e del riconoscimento ricevuto dall’hombu dojo, e in tale veste di rappresentare tante persone rispettate e rispettose al tempo stesso degli altri. Le delusioni sono venute dal comportamento di alcuni che forse non hanno saputo comprendere e fare proprio che cosa significhi entrare in relazione con gli altri… ma lasciamo perdere! Io penso di aver fatto sempre le scelte coerenti con quello cui credo, non scelte di mero opportunismo: intendiamoci, posso pure aver sbagliato, adottando delle decisioni dalle quali possono anche essere venuti risultati negativi, ma spesso proprio alla luce delle esperienze fatte e degli eventuali errori finisco per lavorare meglio. Mi piace dire che l’aikido non è di mia proprietà, ma un regalo premiante della vita, caratterizzato da una precisa etica nelle relazioni umane omprensiva di cura della salute, relazioni stabili, spirito di squadra e fiducia negli altri.
– Una curiosità: che pensa delle performance filmiche di Steven Seagal in cui si fa largo uso di possibili applicazioni dell’aikido a situazioni di combattimento reali?
Oramai i suoi film per quanto ben fatti sono datati, risalgono ad almeno 30 anni fa, i giovani oggi possono essere sul piano dell’immagine più facilmente attratti dalle mma o dal krav maga per cui non credo che tali film portino presentemente gente in palestra. Con maggior probabilità hanno prodotto questo effetto in passato. Occorre poi vedere il riscontro tra effettiva pratica di palestra e la rappresentazione, le aspettative che uno si può creare attraverso la mera visione di un’opera cinematografica. Un ragazzo di oggi è già tanto se si dedica all’allenamento un’ora, molti manifestano sin da subito impazienza e pensano magari di stare a perdere tempo. Ma qui si affermano la disciplina e l’educazione insite nelle arti marziali, attraverso le quali si devono e si possono veicolare, in una logica di assoluta coerenza e continuità messaggi positivi e obiettivi condivisi…