di Paolo Narciso

In natura non esistono angoli retti, ma in Giappone si. Come italiano la frase ordine e disciplina mi evoca immediatamente un recente e controverso periodo della storia del mio paese. Qui, nel Sol Levante, la cosa prende una connotazione piuttosto differente. Cominciamo col dire le che le persone si muovono in modo diverso, camminano in modo diverso, percepiscono lo spazio in modo diverso.

Più che percepirlo lo creano attraverso un complesso sistema di gestione delle distanze e delle geometrie. Camminando per strada ci si rende subito conto di non essere soli. Un’enorme massa di gente si muove ovunque e riempie lo spazio, ogni spazio ma, basta fare un passo avanti per rendersi conto che questo movimento è tutt’altro che uno sciamare caotico. Le persone in Giappone si muovono tracciando traiettorie precise, decise e soprattutto lineari. Due sembrano essere gli imperativi categorici: non avere alcuna indecisione e definire delle “code” non appena possibile.

Sì, proprio la fila, la coda, quella cosa che noi occidentali viviamo con insofferenza e noi italiani, i latini in genere, sopportiamo ancor meno, qui prende una connotazione completamente differente. Per prima cosa appare come fatto necessario. Una massa di gente in ordine sparso diventerebbe in un attimo un luogo ingestibile se non addirittura pericoloso. In secondo luogo la fila definisce immediatamente anche lo spazio tempo delle azioni comuni. Determina un ritmo con il quale si procede tutti verso le proprie direzioni.

Per fare un esempio: le scale mobili. Man mano che le varie linee si raccolgono nella direzione della scala mobile che porta, ad esempio, ai tornelli della metropolitana, I giapponesi formano spontaneamente una sola fila sulla sinistra. Una sola lunghissima fila che metterebbe ansia anche al più disciplinato di noialtri. E si procede serenamente così. L’unica cosa importante è essere pronti quando arriveremo a fare quello per cui siamo in fila. Dobbiamo fare una domanda al centro informazioni, sarà bene avere chiara la domanda. Dobbiamo comprare il biglietto, I soldi devono essere pronti, dobbiamo timbrarlo, è importante tenerlo in mano.

Non dobbiamo disturbare in alcun modo il ma-ai, il ritmo dell’azione comune. Se arriviamo impreparati e indugiamo possiamo iniziare a vedere da subito gli effetti collaterali intorno e dietro di noi. Gente che si scontra, persone che, costrette a cambiare linea repentinamente, si scusano dieci volte con gli altri a causa della nostra imperizia e cercano al di riorganizzarsi nel minor tempo possibile. Insomma un disastro sociale!

I gesti misurati e calmi, decisi e ritmati, tipici delle persone qui in Giappone, necessitano una implicita collaborazione sociale. Una presa di consapevolezza e responsabilità individuale senza la quale l’agognata e necessaria armonia è semplicemente impossibile da ottenere. Ed è con questi presupposti che dobbiamo leggere gli innumerevoli inviti all’ordine. Non sono affatto sintomo di una costrizione coatta all’uniformitá fine a se stessa.

La società riconosce lo sforzo individuale e fa di tutto per agevolarlo e dargli valore. Dalle righe davanti alla zona di apertura porta della metro ai piedini disegnati per terra che ti dicono “aspetta proprio qui per favore”; dagli innumerevoli segnali che dicono fai questo o non fare questo in questo luogo a gesti di invito e smistamento dei vari addetti, tutto questo è un modo per rendere il compito individuale più facile, più immediato, meno faticoso.

Ed è per questo che l’errore è tollerato e corretto con gentilezza, ma la ripetizione dell’errore no. Qui si impara, sempre e ovunque. Imparare significa sbagliare, poter sbagliare significa poter contare sulla benevolenza degli altri, non sulla loro pazienza. Chi continua a sbagliare, non sbaglia più ma si oppone, proprio perché tutto e tutti sono lì per permetterci di imparare.

Sicuramente tutto questo produce una forma di omologazione, ma in ogni situazione,qui, si ritrova sempre qualcosa di unico, colorato e difforme che permette all’uniformitá di esistere senza disumanizzare l’anima. Così, ogni enorme stazione metro ha le sue linee e i suoi protocolli sempre uguali ma ha anche il suo jingle unico e diverso da quello di tutte le altre. In questo mondo fatto di forma, Kata, c’è sempre un pezzetto di libertà e interpretazione che ci permette, a ben vedere, di sorridere, restare umani ed essere individui

Paolo Narciso
Dojō Shochibukai Roma