Chiara Sella
Jiku asd di Roma – Dojo Musubi

Non dimenticherò mai le sensazioni che ho provato la prima volta che ho poggiato i miei piedi nudi e infreddoliti sul tatami: l’ho trovato accogliente, flessibile ma resistente, rassicurante.
Queste sensazioni, così materne, le ritrovo quando affondo le dita nei tasti del mio pianoforte.
Suono da quando ho 7 anni, quindi ormai da circa 20 anni, e 20 mesi fa ho avuto il mio primo incontro con l’aikido. È stato proprio il mio ultimo Maestro di piano a suggerirmi di praticare un’arte marziale, in quanto, secondo lui, c’è un pensiero di fondo che si sovrappone quasi perfettamente con quello musicale. Dai principi del budo si possono infatti trovare più somiglianze con la musica di quanto si possa immaginare!

Nonostante abbia iniziato da poco questo affascinante percorso nel mondo dell’aikido, io stessa ho avuto modo di confermare quanto affermato dal mio saggio insegnante nel mio periodo accademico. Ora, che io stessa sono insegnante di piano, ringrazio fortemente per aver avuto questo consiglio e di ritrovarmi ancora una volta nelle vesti dell’allieva (vesti in tutti i sensi visto che ora devo anche indossare un kimono!) perché ciò mi aiuta a mettermi in discussione e a migliorare continuamente nel mio lavoro.

Di seguito esporrò alcuni elementi essenziali che accomunano tali discipline.


Nel dojo che sto frequentando ora, sto riaffrontando le dinamiche precedentemente studiate sugli ottantotto tasti bianchi e neri, ma su un livello profondamente diverso. Innanzitutto, è fondamentale sviluppare gradualmente la percezione della propria energia, il ki, che è un insieme di tanti elementi quali la forza di volontà, le capacità innate, le abilità acquisite, l’adattabilità, ma anche la somma di ciò e quindi molto di più. C’è qualcosa di profondamente magico e inspiegabile, infatti, nella somma dei singoli elementi.

Essere consapevoli della propria energia però non basta, bisogna controllarla. Nella mia esperienza personale, se prima il controllo della mia energia, della mia concentrazione e del mio respiro dovevano canalizzarsi lungo le mie braccia, giungere ai miei polpastrelli per diventare suono, ora il tutto è generalizzato in flusso che coinvolge l’intero corpo e che deve diventare un movimento preciso e deciso. È un tipo di libertà particolarmente gratificante, in cui l’inspirazione e l’espirazione rimangono, come nella musica, fondamentali per una buona riuscita di quanto pensato.

C’è un altro aspetto che ogni volta mi meraviglia e alimenta la mia autostima di donna e riguarda la differenza tra il peso del corpo e la forza.

In aikido non è necessario essere possenti per far sì che una tecnica sia efficace, bensì capire le leve giuste, entrare in contatto con l’altro giocando sui suoi e sui propri equilibri. È una questione di peso, di gravità, non di forza.

Ecco, nel pianoforte ci sono dei passaggi in cui i compositori indicano all’interprete che si deve suonare forte, ma quel forte non sarà mai bello, tondo e caldo se si userà la forza stessa, lo sarà solo lasciando che le mani si abbandonino alla gravità che le attrae verso i tasti. Anche qui: è una questione di peso, non di forza. Conseguenzialmente: non è una questione di caratteristiche biologiche o di dotazioni fisiche, ma di come le si impiegano per ottenere un determinato risultato. Ciò, in parte, annulla la necessità di appartenere all’uno o all’altro genere. In effetti ho la fortuna di frequentare un dojo formato da numero pari di uomini e donne e ciò mi permette di capire ancora di più tale concetto.

Un’ultima analogia che voglio mettere in luce concerne l’aggressività nel suo senso etimologico e positivo. Il termine “aggredire” deriva da ad, indicante direzione, e gradus, ovvero “passo”: aggredire vuol dire quindi <<andare verso>> ed è esattamente ciò che succede quando uke e tori si incontrano (e non <<scontrano>>), vanno l’uno verso l’altro e reagiscono ai loro reciproci input, continuando ad andare verso, senza arrendersi, ma come cercando un’emancipazione costante. La stessa aggressività è necessaria e inevitabile quando si deve vincere l’impulso di fuggire davanti a un pubblico o di evitare un passaggio pianistico difficile, frustrante. Si va avanti dentro se stessi per poter andare oltre.
Ci sono, tuttavia, due enormi differenze tra queste due affascinanti discipline.

La prima riguarda il contatto. Il contatto di un pianista avviene tra se stesso e il proprio strumento, poi tra le vibrazioni delle corde e il pubblico. È un contatto intenso ma principalmente astratto, indiretto.
Nell’aikido, invece, gli aikidoka si devono toccare. Il contatto è controllo, il coinvolgimento è diretto, senza filtri.

La seconda riguarda l’aspetto competitivo. Avendo frequentato un contesto accademico fortemente professionalizzante e avendo dovuto partecipare a una serie di concorsi sin dalla tenera età, conosco bene le ansie che scaturiscono da un tale tipo di percorso. Nell’aikido invece non c’è competizione né sfida. In aikido esistono le dimostrazioni che implicano la trasmissione di un sapere da parte di chi è più competente, più esperto, verso chi vuole ricevere quello stesso sapere per comprenderlo, arricchirsi e magari un giorno ampliarlo ulteriormente. Trasmettere in questo modo la conoscenza è secondo me una delle più alte forme di amore, a livello umano.

In conclusione, dal basso del mio IV Kyu, posso affermare quanto segue: l’aikido e la musica educano alla perseveranza, alla costanza, all’aggressività necessaria per non arrendersi e per trovare il modo di difendersi. Insegnano l’amore nelle sue diverse forme, come la ripetizione, la pazienza di aspettare di capire e di interiorizzare geometrie tanto semplici e armoniche quanto complesse, la resistenza alla frustrazione.

L’aikido e la musica ci ricordano che la nostra energia interiore è il potere idiosincratico che ci rende individui e che ci libera dalle diversità stigmatizzanti senza farci dimenticare che siamo più simili di quanto pensiamo, che non ci sono limiti perché appartenenti a una categoria o ad un’altra e, anzi, che le categorie si perdono nel rispetto di chi insegna e di chi impara in un continuo scambio disinteressato. Per questo adoro indossare il mio kimono bianco.