Siamo in attesa che riaprano i musei. In questi lunghi giorni di isolamento per la pandemia covid-19 ci rendiamo conto di quanto ci manchino e di quanto siano essenziali. Per alimentare la nostra sete di cultura ma anche per darci strumenti utili a comprendere meglio ogni attività dell’essere umano. Non sarà male ricorrere a delle “visite” virtuali, rivisitando eventi del passato mentre attendiamo di poter partecipare ad altri futuri. Questo articolo è dovuto alla penna, e alla cortesia, di Leandro Spadari. La sua attività pubblicistica nel campo delle arti marziali è nota a molti praticanti e insegnanti, al punto di poterlo senzaltro definire come voce storica del nostro mondo. L’evento risale al 2018,  l’articolo venne pubblicato nel gennaio 2019 su Samurai,  pagine 68-69. Non sorprendetevi quando troverete – sorprendenti? – affinità con la pratica della nostra arte.

 

Una mostra-laboratorio ospitata dal Museo delle Civiltà a Roma sull’arte degli alberi in vaso: un vero e proprio do, un aspetto della cultura orientale improntato al rapporto con la natura e all’estetica zen.

La bellezza del bonsai è qualità pura, ma bisogna desiderarla, cercarla e infine scoprirla… Questa frase ha concluso l’intervento introduttivo di Bruno Proietti Tocca, componente del Collegio nazionale istruttori di bonsai (IBS), fondatore della scuola Shizen e presidente dell’Associazione Bonsai Tevere, alla due giorni (17/18 novembre 2018) tutta dedicata all’arte del bonsai con lezioni, dimostrazioni e applicazioni pratiche, e ospitata a Roma nella bella sede del Museo delle Civiltà (EUR).

Nella sua concisa esposizione, presente tra gli altri la dottoressa Loretta Paderni, funzionario Mibac e responsabile della Sezione Asia del MUCIV – Museo preistorico etnografico Luigi Pigorini, il relatore ha messo in rilievo come il bonsai si sia sviluppato partendo dall’osservazione della natura e dell’ambiente paesaggistico quale fonte d’ispirazione e quale finalità didattica ed estetica (intesa quest’ultima come dottrina della conoscenza sensibile, del bello, del naturale). Connaturate al bonsai sono le “emozioni”, alla base di ogni sistema estetico e nel nostro caso veri e propri stimoli produttivi: intuizione, libertà inventiva, ideazione si fondono e in un incredibile dinamismo – nel quale è insita l’idea stessa del “bello”, che simboleggia il premio finale, qualcosa che si conquista dopo una lunga ricerca – si correlano parte razionale, immaginazione, attività creativa.

Ecco il concetto di do, inteso come “via”, “cammino” ben noto a tutti i praticanti di arti marziali che sottende un percorso di ricerca che, attraverso la perfezione nell’esecuzione di gesti fisici e rituali, attraverso la tranquillità mentale, l’obbedienza, il rispetto e la relazione maestro-allievo, l’apprendimento attraverso la ripetizione, la meditazione, aiuti a raggiungere una sorta di perfezionamento spirituale.

Mushin, lo stato di non pensiero o, meglio, lo stato in cui azione e pensiero diventano un tutt’uno indivisibile, impronta di sé non solo il bushido ma tutte le arti tradizionali giapponesi. E il bonsai tra queste, alla stessa stregua del kado, o ikebana, arte di disporre i fiori e dello shodo, l’arte della calligrafia

Sono l’intuizione-illuminazione (satori), il gusto (shuni), il cuore (kokoro) a caratterizzare una dimensione che per il suo essere “piccola” è immediatamente più familiare, facilmente fruibile e di immediata lettura. Il piccolo – ha sottolineato l’esperto – si presenta sì come miniatura del grande, ma con l’impreziosimento e l’esaltazione dei particolari, in un processo artistico in cui l’uomo ritrova il suo individualismo estetico, il piacere della manualità, un controllo sulla natura… in un mondo moderno caratterizzato, per non dire ossessionato, dalle leggi dei mercati e dal consumo impulsivo, il bonsai regala un attimo di riflessione che porta a conoscere meglio noi stessi ed il mondo che ci circonda.

Nacque infatti come pratica per la ricerca dell’armonia tra l’uomo e la natura. Per alcuni filosofi l’albero rappresenta la vita dell’uomo, l’attorcigliarsi del tronco dei rami rappresenta i problemi ed il dolore, le foglie ed i fiori a loro volta la sconfitta della morte.

La storia del bonsai inizia in Cina con una prima documentazione rinvenuta nel 1972 presso Xian, nella tomba del principe Zhang Huai della dinastia Tang (618-907 d. C.) i cui dipinti murali ritraggono schiavi che portano piante in tutto somiglianti ad un bonsai.

Entra solo dopo nella cultura giapponese, durante il periodo Kamakura (1185-1333 d.C.), grazie al buddhismo zen, caratterizzandosi come arte di pensiero, meditazione ed evoluzione: dai monasteri prese ad affermarsi nelle case dell’aristocrazia giapponese come simbolo di prestigio e di onore, tanto che è giunta ai nostri giorni l’opera teatrale ambientata nel XIII secolo Hachi no ki (“La storia degli alberi nei vasi”).

Nel periodo Edo (1603-1868 d.C.) caratterizzato da un maggior sviluppo della ceramica e dell’importazione di manufatti cinesi, il bonsai conobbe una diffusione molto rapida.

 

Il giardino del Ryoan-ji, particolare

Quando una legge (sankin kôtai, inserita da Tokugawa Iemitsu nel codice dei samurai – Buke shohatto – del 1635) obbligò poi i signori feudali a trasferire le loro residenze a Tokyo periodicamente per raggiungere la corte dello shogun, iniziarono ad essere portati in dono i primi bonsai di specie rare.

La tecnica si caratterizzò per la “rimozione” di parti anche importanti della pianta per indirizzarne la crescita verso simbolismo e stili desiderati. Un filosofia che può considerarsi essenziale, minimalista, intimista e ben rappresentata dai giardini giapponesi del famoso tempio di Ryoan-ji.

 

 

 

Il successivo isolamento del Giappone dal resto del mondo comportò, tra le altre conseguenze, anche un temporaneo ristagno della cultura bonsai, che riprese interesse dopo la rivoluzione del periodo Meji (1868-1912) favorendo la codificazione dello stile e lo svolgimento della Prima esibizione internazionale Kokufo-Ten a Tokyo, nel 1929, evento ripropostosi ogni anno sino ad oggi.

In Europa i primi conosciuti bonsai vennero importati dall’ inglese Robert Fortune, rappresentante della Società di ortocultura reale di Londra, con cui si diede origine alle prime mostre a Londra, Vienna, Parigi la cui esposizione universale del 1900 favorì l’ulteriore conoscenza dell’arte del bonsai.

In occasione dell’ Expo di Osaka (1970) fu allestita una mostra di carattere eccezionale che, con il suo successo, favorì la penetrazione del bonsai nell’ America del nord, nei paesi anglosassoni e a seguire in tutto il mondo.

Sin qui l’excursus espositivo di Bruno Proietti Tocca, creatore di alcuni esemplari di bonsai, catturanti opere d’arte, sistemate per l’evento nel salone espositivo della mostra Geisha, l’arte, la persona (di cui abbiamo parlato nel numero di Samurai di ottobre 2018).

 

In una sorta di “dialogo” con i kimono, i ventagli, le fotografie, i libri, gli strumenti musicali, altri oggetti di uso comune o professionale da parte delle geisha: “un accostamento voluto – ha detto la stessa dottoressa Paderni – e felice, per la sottile affinità tra i diversi materiali e opere esposte, essendo quella del rapporto con la natura una costante della cultura giapponese.”