E’ iniziato un nuovo anno solare, e già sappiamo con certezza che recherà nuove incertezze. Non sappiamo cosa ci aspetta, ma sappiamo o dovremmo sapere con quale spirito affronteremo ogni evento, qualunque esso sia. Non è facile però definire questo spirito, lo spirito dell’aikido, tantomeno raggiungerlo e mantenerlo. Lo sappiamo. Ma è necessario iniziare già fin d’ora a rifletterci. Non alla vana ricerca di una soluzione valida per tutti, e per tutti i mali del mondo. Se i problemi sono comuni, il modo e gli strumenti con cui ognuno di noi li affronterà e con cui si coordinerà col suo prossimo sono strettamente individuali. Non sarà tuttavia inutile conoscere le posizioni degli altri, oltre che a palesare le proprie.
Nel corso di una delle tante mie ricerche mi imbattei come sempre succede a chi ricerca in una serie di quesiti ai quali non ero in grado di trovare una risposta. Riguardo uno di essi avrebbe potuto probabilmente dare informazioni supplementari Fujimoto sensei e alla prima occasione utile lo affrontai. Eravamo in uno stretto corridoio di passaggio, che venne immediatamente affollato da ascoltatori “occasionali” che avevano annusato l’aria di rivelazioni che doveva in quella occasione trasparire dal nostro atteggiamento: quasi da cospiratori, parlavamo inconsciamente a voce bassa e ci guardavamo intorno sospettosi. Chissà perché.
Non credo che rimasero particolarmente soddisfatti, le rivelazioni sono un’arma a doppio taglio, e appunto dalla parte del taglio si presentano. Sempre. La ragione è semplice: la verità è troppo semplice, ce la immaginiamo complicata e quando ci viene porta – per caso o deliberatamente – non la riconosciamo perché ci sembra troppo banale o, horresco referens, dopo averla a lungo invocata, semplicemente non la gradiamo.
Fuji rimase divertito nel constatare che ricordavo quel suo remoto accenno. Risaliva infatti a quasi 30 anni prima ed esattamente al 7 dicembre 1980. Ma non consiglio al lettore di chiedersi come faccio a ricordare perfino la data. Le rivelazioni (non mi ricordo se ve l’ho già detto) sono un’arma a doppio taglio.
Ma per una volta almeno voglio svelare perlomeno uno dei tanti piccoli arcani normalmente destinati a rimanere tali. Qui infatti ci vuole un’altra citazione “Non è importante che si sappia…”. Appartiene a un altro maestro, e l’ho sempre interpretata come “Se ti azzardi a parlarne farai una brutta fine”. Perché nell’arte occorre cercare da soli, sotto la guida beninteso di un maestro, non chiedere semplicemente la soluzione da mostrare in bella copia: rimarrà comunque farina di un altro sacco.
Ma ogni regola ha le sue eccezioni. Alla più importante delle domande che gli rivolsi, l’origine di una usanza risalente a circa 1000 anni fa, e soprattutto le sue precise modalità e motivazioni al giorno d’oggi, Fuji rispose in modo semplice ma tale da innescare in me una serie di riflessioni ancora ben lungi dall’essere terminate. E che, mi dispiace per voi (le rivelazioni ecc. ecc…), vi rivelerò: «Nessuno sa perché! Quindi non può cambiare!…»
Esatto: uno dei maggiori problemi dell’umanità è la trasmissione della conoscenza. Ogni nuova generazione inizia il suo percorso lungo il cammino della vita chiedendosi se quello che gli viene trasmesso abbia un senso o non sia giunto piuttosto il momento di cambiare. Ma non sempre si può cambiare: non finché non si sia prima ricevuta, assimilata – e compresa fino in fondo – la conoscenza ancestrale.
Anche noi praticanti e insegnanti di aikido ci troviamo al momento attuale di fronte a un dilemma di questo genere. “L’aikido è in crisi… bisogna cambiare”. Lo si sente ripetere in continuazione, anche se nessuna di queste persone ha finora potuto proporre soluzioni, o perlomeno soluzioni credibili e attuabili.
In realtà io non credo che sia in crisi la nostra arte: credo che siano preda di una profonda crisi i praticanti e gli insegnanti. Ma non l’aikido.
In ogni caso, va comunque cambiato qualcosa per uscire da queste crisi? Probabilmente. Ma ancora non è possibile rispondere. Sia perché le risposte sono tendenzialmente infinite, almeno una e forse di più per ognuna delle persone coinvolte. Sia, soprattutto, perché troppo spesso praticanti e insegnanti di aikido non hanno ancora raggiunto la conoscenza e la comprensione. Non ancora dell’aikido, non ancora tantomeno di sé stessi, essendone appunto l’aikido lo strumento di conoscenza di elezione.
Insomma: occorre risalire sul tatami, e riprendere a lavorare. Come se fosse il primo giorno. In realtà ogni giorno dovrebbe essere il nostro primo giorno, senza aspettative e senza preconcetti. E senza timori.
Paolo Bottoni
Dojo Fujimae Pisa