di Flavia Tricoli
Dojo Shochikubai Roma

Il mio percorso nell’Aikido è equiparabile ad una storia d’amore. Lo stesso titolo di questo articolo è la citazione di una canzone molto famosa…”Perdere l’amore”, appunto. Ma prima che iniziamo a struggerci per la perdita, voglio però svelarvi che si tratta di una storia a lieto fine. Vi auguro buona lettura.

Il nostro fu il classico colpo di fulmine. Frequentavo una palestra di zona, dove seguivo quello che allora si chiamava Multiprogram: nuoto, acqua gym, gym music, gag… praticavo inoltre diversi sport all’aria aperta.

Niente e nessuno mi aveva mai parlato dell’Aikido.

Eppure lui era lì, proprio sulla strada che percorrevo ogni due giorni per uscire dalla palestra. Passavo davanti a quella porta e sentivo rumori come di…cadute?!? 

Così, incuriosita, un bel giorno trovai la porta del Dojo socchiusa e con l’intraprendenza e la sfrontataggine dei miei sedici anni, mi intrufolai per dare un’occhiata. Ecco. Non ho avuto dubbi. Quello era esattamente ciò che avrei fatto di lì in avanti. Era perfetto per me. Cosa feci? Andai in segreteria, mi iscrissi per un anno intero, comprai un gi che mi sembrava simile a quelli che avevo visto e due giorni dopo mi presentai sul tatami. Senza aver parlato con nessuno di loro prima, infatti l’iscrizione era allora gestita dalla palestra che ospitava il Dojo.

Mi guardavo intorno e seguivo il più possibile quello che facevano gli altri, cercavo di replicare i movimenti mostrati e poi seguivo gli altri nei “rotolamenti”. Fu molto bello, quasi esaltante. Ero felicissima. A fine lezione un Senpai mi si avvicinò e mi chiese da quale Dojo venissi e da quanto tempo praticassi Aikido. Immaginate la sua faccia quando gli risposi che non ne sapevo assolutamente nulla e quella era la mia primissima lezione!

Così iniziò la nostra storia e passai anni felici, pieni di scoperte, sfide e piccole comprensioni. Ero totalmente immersa nell’Aikido e ogni momento libero era dedicato a praticare. Era stato un passaggio da 0 a 100 ed era diventata l’attività più importante della mia vita.  Trascorrevano gli anni e la passione rimaneva intatta. Non c’era nessun motivo al mondo che mi potesse far perdere nemmeno una lezione.

Quand’ecco che conobbi una persona e me ne innamorai. Fu una storia complicata, piena di difficoltà, gelosie, litigi. L’Aikido era per me importantissimo ed era uno dei motivi maggiori di litigio. Luca (uso un nome di fantasia, ovviamente) non riusciva a sopportare che non rinunciassi a giorni di lezione o stages per stare con lui. Mi diceva “non posso pensare che l’Aikido sia più importante di me ai tuoi occhi”. Ho passato un anno di inferno, combattuta tra la voglia di praticare e l’impossibilità di conciliare le due cose. Così ho scelto, e purtroppo ho scelto di evitare i litigi.

Sono seguiti 10 lunghi anni di non pratica e… guardate un po’, di altri litigi, ovviamente, per altri motivi. Non ho messo piede sul tatami per tutto quel tempo, ma mi succedeva una cosa strana. Mi capitava piuttosto spesso di sognare l’Aikido: nei miei sogni continuavo a eseguire tecniche o anche semplicemente mi ritrovavo a stare in seiza in pace prima dell’inizio della lezione. Covavo il desiderio di tornare e ogni altra attività che facessi in quei lunghi anni non mi sembrava nemmeno lontanamente paragonabile all’Aikido.

Quando l’Aikido sembrava ormai perduto, ho trovato la forza di allontanarmi da Luca. Era estate e la prima cosa che ho fatto, appena sono ricominciate le lezioni, è stata quella di ricomparire nel Dojo. Io e l’Aikido non ci eravamo dimenticati! Anzi, non ci eravamo mai lasciati! Ricordavo tutto ma ancor di più, la lontananza mi aveva fatto maturare sotto vari aspetti e l’emozione che provavo era quella di chi è finalmente tornato a casa e assapora nuovamente sensazioni, odori e suoni familiari.

Ed ecco il lieto fine ed una riflessione. Ho ripreso la pratica da diversi anni e, tra i tanti doni ricevuti dall’Aikido, c’è stato anche quello di farmi trovare un compagno con il quale condividere la vita e la pratica.

Dopo aver quasi perduto l’Aikido a causa di una qualcuno che non era per me, ho sviluppato una particolare sensibilità per aiutare i miei compagni a trovare motivazione e grinta per continuare la via e non rinunciare mai a se stessi. Cerco di favorire ed accogliere i miei “giovani” compagni, di essere per loro sostegno e guida nel mio ruolo di Senpai. L’atmosfera che si respira nel Dojo è di profondo impegno ma anche centratura e rispetto. Se l’Aikido è entrato nella loro vita, così come nella mia, farò di tutto per aiutarli a progredire nella via.

La riflessione dunque è:

è valsa la pena rinunciare all’Aikido perché una persona non era in grado di sopportare che io fossi una aikidoka, o meglio, perché io non ero ancora in grado di riconoscere me stessa?

Direi di no, ma direi anche che è stato un lungo percorso che mi ha insegnato quanto l’Aikido fosse connaturato in me e quanto la mia vita fosse inscindibile dalla pratica. Ho capito che l’amore e il rispetto sono due entità inscindibili e per me, quindi AI, l’armonia, ha preso questo speciale significato.

Quando capita racconto la mia storia anche ai miei kohai, soprattutto alle mie compagne di tatami, davanti ad un bicchiere di Sake o di birra, dopo una intensa pratica, in particolare se nelle loro vite stanno facendo percorsi difficili e si trovano magari a dover combattere il demone della svalutazione e della manipolazione.

L’Aikido è veramente un grande laboratorio di umanità.