di Cristina Mameli
Shobuaki asd

Mi è capitato spesso di leggere commenti e interpretazioni personali sull’Aikido, che si focalizzano soprattutto attorno al dilemma: Arte di pace o arte della guerra? Via spirituale o marzialità pura? Aikido tradizionale o Aikido moderno?

Ognuno interpreta questa bellissima disciplina filtrando gli aspetti che sono maggiormente aderenti alla propria visione del mondo e proiettandovi sopra le proprie aspettative e le proprie esigenze.

 

 In apertura del libro “L’arte della pace” curato da John Stevens è riportata questa riflessione di O’ Sensei :

L’arte della pace non fa affidamento sulle armi o sulla forza bruta per avere successo; al contrario, entriamo in sintonia con l’universo, manteniamo la pace nei nostri reami, promuoviamo la vita e preveniamo la morte e la distruzione[1].

A questo proposito vorrei condividere alcune riflessioni su ciò che questa disciplina ha rappresentato e continua a rappresentare per me e portare avanti alcune considerazioni rispetto al mio essere donna nel mondo dell’Aikido.

Ho iniziato a praticare intorno ai 25 anni e attraverso questa disciplina ho incominciato a seminare la fiducia in me e ad alimentare la padronanza del mio corpo, imparando a esprimere me stessa e la mia interiorità nel gesto.

La pratica dell’Aikido è diventata la base della mia vita. Da qui ho tratto il grande insegnamento della morbidezza, della fluidità, dell’apertura verso gli altri, che corrispondeva alla visione del mio essere al mondo. Non è sempre facile. È più da concepire come vision, come meta a cui tendere.

Il presupposto che ho tratto dall’insegnamento nel dojo è che l’altro non è un nostro nemico. Ciò che ho sempre trovato illuminante e che ho riscoperto nel Counseling, nello Shiatsu e nello Zen, è che i problemi non sono fuori di noi. La soluzione non consiste nell’annientare gli altri, ma nel lavorare su di noi per risolvere gli ostacoli che ci impediscono di essere in armonia con gli altri, ampliando la nostra mappa mentale.

Jung affermava:

Il diverso è dentro di noi e se non impariamo a riconoscerlo e a comunicare con esso, creeremo delle società malate”[2]

Il Maestro Ueshiba diceva:

“Vincere significa sconfiggere la mente conflittuale che si annida dentro di noi”[3].

Per me lo scopo principale dell’Aikido insegnato e praticato come Via, Do, è esprimere la vita attraverso la  morbidezza del corpo, dei movimenti e della mente. Una mente morbida è aperta, accogliente, empatica, in armonia con il mondo circostante.

Per quanto riguarda la relazione con i praticanti maschi, la questione è aperta.
Spesso si cita il numero delle donne presenti nel proprio dojo come valore aggiunto, ma è realmente così?

Nell’immaginario dei praticanti uomini, le donne sono considerate un valore, o alla pari, persone con cui confrontarsi sul tatami?

È capitato a tutte di sentire dire da un praticante uomo che non frequenterebbe mai un dojo con un’insegnante donna? Io l’ho sentito dire!

La verità è al di sopra di queste divergenze, è al di là del dualismo, e si ricompone attraverso l’integrazione degli opposti. Anche in questo caso, Jung ci viene in aiuto, parlando proprio di opposti da integrare, con la sua teoria del Maschile e del Femminile, Archetipi presenti in ciascuno di noi, che a mio avviso può trovare riscontro e soluzione proprio nell’Aikido.

Questa disciplina può favorire l’integrazione dell’energia del Maschile e del Femminile, perché coniuga la Spinta, la decisione, il raggiungimento dello scopo (qualità che connotano l’energia del Maschile) con la morbidezza, il potere liquido, la gentilezza, l’accoglienza, l’azione priva di aggressività, tipica del Femminile. Questa è una delle ragioni che mi portano con fiducia a considerare l’Aikido come pratica evolutiva.

Io sono fermamente convinta che nel mondo attuale, in cui l’aggressività e la conflittualità sono spinte all’esasperazione, ci sia bisogno di questa integrazione. Talvolta prevale anche nei praticanti questa aggressività e ci sono donne non in collegamento con il loro Femminile che esibiscono comportamenti da dure per essere simili agli uomini, sacrificando così il loro potere.

A mio avviso c’è bisogno di riportare equilibrio tra queste due componenti già presenti dentro ogni persona. La mia pratica è volta a conciliare questa integrazione e uno degli scopi che mi prefiggo come istruttrice degli allievi principianti, oltre a mostrare loro le tecniche, è soprattutto aiutarli a realizzare l’integrazione di Maschile e Femminile, Anima e Animus, per ampliare la propria coscienza.

Attraverso questo passaggio, le donne potranno manifestare il proprio potere liquido, che si esprime con la morbidezza e l’accoglienza, tipiche del Femminile, ed integrare in sé la forma irimi, l’entrata diretta, più Maschile.

Gli uomini saranno in grado di esprimere la circolarità e impareranno ad affrontare il conflitto con la morbidezza, integrando il Femminile, senza rinunciare alla decisione, la spinta, che caratterizza il Maschile.

In questo modo si diventa completi e liberi di esprimere tutte le proprie potenzialità, in armonia con l’altro e con l’ambiente esterno.

Questo per me è uno dei contributi che l’Aikido può dare nell’evoluzione dell’essere umano.


[1] M.Ueshiba, L’Arte della pace. A cura di John Stevens. Milano, Feltrinelli, 1992

[2] C. J. Jung, Psicologia, Opera vol. 8 –Torino, Boringhieri 1979

[3] aforisma di O’Sensei