Siamo veramente disposti ad essere “artisti marziali”?

La distinzione tra ginnastica ed esercizio marziale è figlia del pensiero moderno e ancor più di quello contemporaneo.

Vaso di Pronomos. Museo Archeologico, Napoli

Fin dall’antichità, infatti, la “ginnastica” è stata profondamente legata all’esercizio delle capacità militari e non era concepibile al di fuori di questo orizzonte. Addirittura la danza, per gli spartani, doveva servire a dare ritmo al corpo per meglio permettergli di acquisire abilità utili sul campo di battaglia. L’organizzazione di tornei, giostre, finte battaglie, combattimenti, erano principalmente un ausilio e una preparazione alla guerra e al campo. Questo perché gli “antichi” avevano piena consapevolezza della differenza tra “ludus” e campo di battaglia e mai avrebbero confuso le due cose e , tantomeno, ritenuto che un atleta, per quanto addestrato alla lotta, potesse valere in guerra quanto un soldato.

Di questa consapevolezza ci dà conferma, per prenderne uno come esempio, Plutarco nel suo trattato sull’educazione dei figli :”La guerra non vuole un corpo educato all’ombra. Un soldato smilzo, ma avvezzo alla guerra, tiene testa a pugili violenti e a forze schierate in ordine di battaglia” (Plut, Come educare i figli, Mondadori, 1966 p.81)

È evidente che una cosa è l’educazione fisica al combattimento ludico, un’altra è l’esercizio militare per prepararsi alla guerra. Quello che cambia è ciò che noi oggi chiameremmo il “mindset”, la posizione mentale.

Parliamo spesso di “arte marziale”, ma comprendiamo bene cosa stiamo dicendo? L’arte marziale, per essere tale, non può prescindere dal campo di battaglia e dalla guerra. Non è ovviamente necessario vivere in uno stato di aperto e permanente conflitto affinché si possa praticare un’arte marziale ma la guerra e il campo di battaglia non possono assolutamente scomparire dalla cornice nella quale ci addestriamo, almeno se vogliamo continuare a definire la nostra attività “marziale”.

Pugile. Palazzo Massimo, Roma

In guerra non c’è spazio per i pugili, per la prolungata lotta a terra e per la zuffa uno a uno. Non è una posizione ideologica o di stile, semplicemente un fatto.

Il nostro keiko deve essere tutto completamente rivolto a questo, fin dalla preparazione fisica e dal taiso. Non c’è spazio per nessuna azione o esercizio che non concorrano a questo unico scopo: prepararci al campo di battaglia.

Tutto questo dà senso al nostro voler dire “marziale”. Ma non basta, c’è anche l’”arte”.

Se il pugile puro, da un punto di vista marziale, è equivalente ad un ballerino o ad un centometrista, è altrettanto vero che anche un guerriero feroce è inadatto al campo di battaglia.

C’è bisogno di un corpo e di una mente educati alla guerra e, anche se può sorprenderci, la guerra richiede intelligenza e valori per essere combattuta.

 

 

 

 

 

Aristotele. Palazzo Altemps, Roma

Leggiamo nella Politica di Aristotele “La ginnastica deve essere praticata perché rende valorosi, bisogna perciò collocare al primo posto la nobile forza e non la ferocia bestiale, ché un lupo o nessun altro animale affronterebbe mai un nobile rischio incontro al quale saprebbe invece andare un uomo coraggioso.” (Arist., La Politica, VIII,2)

Per questo la ginnastica, secondo Aristotele, deve legarsi al valore militare e quest’ultimo deve essere figlio del coraggio e non della ferocia. Per questo armonia e bellezza del corpo e del gesto sono fondamentali, perché un guerriero che non sappia dare valore a questi due aspetti è poco più di una belva feroce, sicuramente pericolosa ma inadatta al campo di battaglia.

I “valori” militari si coltivano attraverso una continua educazione della mente e dello spirito, nella cornice chiara e definita della guerra e della morte.

Se vogliamo definirci “artisti marziali” dobbiamo accettare di vivere avendo in mente continuamente il campo di battaglia. Dobbiamo praticare, respirare, mangiare, pensare all’interno di questo “mindset”.

 

 

Il Dojo, il tatami sono campi di battaglia, il nostro compagno di pratica uno dei mille avversari che abbiamo intorno (e dobbiamo immaginarli tutti lì e presenti mentre pratichiamo con lui!). Non c’è spazio per il “one to one”.

Ci confrontiamo con la vita e la morte, non con la vittoria e la sconfitta.

In alternativa, non ci obbliga nessuno a voler essere artisti marziali, c’è il moderno concetto di ginnastica e l’ancor più moderno concetto di sport. Anche quelli da combattimento.

Va tutto bene. L’importante è essere consapevoli di ciò che si sceglie.

 

Paolo Narciso
Dojō Shochibukai Roma