di Nino Dellisanti

2011:

«Oggi, nel momento in cui due miei praticanti che hanno cominciato la loro pratica dell’Aikido quando avevano 8 anni raggiungono (dopo dieci anni di impegno) lo Shodan, ripropongo una nuova versione di un mio articolo sull’Aikido e i bambini…

«Ecco che trovarmi ad insegnare a dei bambini mi metteva di fronte, all’improvviso, ad un’altra dimensione della pratica. Mi sono immediatamente reso conto che non ero pronto, e, a dire il vero (ma non per trovare facile giustificazione), non erano pronti nemmeno i tempi.»

Il mio primo incontro su un tatami con dei bambini, nel contesto di una lezione di Aikido, risale a circa venticinque anni fa. Avevo offerto, alla direzione del dojo nel quale praticavo, la mia disponibilità affinché si potesse sostituire l’insegnante che fino a quel momento aveva avuto la responsabilità del corso bambini. Nuovi impegni lavorativi gli rendevano impossibile proseguire il corso. Ovviamente raccolsi con entusiasmo l’opportunità che mi si offriva. L’idea stessa dello “sperimentare” l’insegnamento faceva parte di un ideale traguardo, idea diffusa e collettivamente condivisa, che si poteva cogliere in tanti praticanti della disciplina. Aprendo una parentesi si può dire che molto è cambiato da allora…

Per tornare a quel periodo, fu così che mi ritrovai con quattro giovani aikidoisti e con un numero di problemi mai immaginati prima. Se non fosse chiaro il dato personale di partenza, bisogna ricordare e sottolineare che ero un giovane praticante, inoltre posso tranquillamente affermare che ero nello stato in cui prevaleva la condizione del “furore” fisico. L’immagine della pratica “Aikido” che predominava in me, ma anche in quel preciso periodo storico, era costituito quasi esclusivamente da una sostanziale fisicità che tutto poteva e doveva rendere possibile.
Certo, vi erano gli aspetti profondi della pratica, quelli cosiddetti “filosofici” ma in primo luogo si ascoltava il corpo nel suo lavoro e se ne trovava compiacimento e soddisfazione.

Insomma, credo che questo non sia molto diverso da quanto probabilmente alberga in un odierno praticante giovane di età e con una fisicità che cerca le occasioni per esprimersi. Oggi una riflessione mi farebbe dire che è un dato insito nell’età di chi pratica, una determinata idea della pratica.

Ecco che trovarmi ad insegnare a dei bambini mi metteva di fronte, all’improvviso, ad un’altra dimensione della pratica. Mi sono immediatamente reso conto che non ero pronto, e, a dire il vero (ma non per trovare facile giustificazione), non erano pronti nemmeno i tempi. In quegli anni i bambini, nella pratica dell’Aikido, erano visti come dei marziani. Diversi gli argomenti contrari ad un impegno rivolto ai più giovani: Le leve sono pericolose!!! I bambini non possono cogliere gli aspetti “filosofici” dell’arte!!! L’Aikido è troppo complicato tecnicamente perché un bambino possa riprodurne i gesti!!! E molti altri luoghi comuni.

Ciò nonostante e nonostante il fatto che io non fossi pronto fui, però, sedotto da quell’esperienza così difficile per me. Ricordo, ad esempio, l’orgoglio che nutrivo ogni qualvolta trovavo risposte didattiche che producevano risultati positivi. Questo senso di soddisfazione che mi portò, in un’occasione, a far vedere quelli che erano i progressi dei “miei bimbi” a colui che era il mio Maestro di Aikido. Ricordo ancora, in modo indelebile, che alla fine della dimostrazione mi avvicinai a lui per raccogliere un’opinione con l’intima convinzione che ne sarei stato gratificato. Immaginate se ero preparato al fatto che l’opinione potesse essere condensata in “sono solo dei bambini”.

Quello era il comun sentire della comunità Aikido e il mio Maestro non poteva pensarla diversamente e in fondo ero d’accordo con lui. Ma quanto accaduto, la frustrazione di ciò, non mi impedì di cogliere che in quella pratica si esprimeva qualcosa che non sapevo ancora definire ma che non avrei fatto cadere nel vuoto. A questo punto c’è una pausa che mi porta al 1992. Anch’io dovetti lasciare quel corso per sostituire quel tempo, non più “libero”, con il lavoro, ma nel ‘92 fondo insieme ad altri la nostra piccola Associazione con un dojo tutto nostro, e per scelta dell’associazione decidiamo di aprire un corso bambini. Lo si propone per la sua valenza educativa, la mancanza di competizioni contrapposta a discipline e attività che domandano di vincere.

Anche qui, nella scelta di queste motivazioni (vere per altro) si potrebbe dedurre che non vi era ancora fiducia nel fatto che la pratica dell’Aikido fosse veramente accessibile ad un bambino.
Di questo periodo ricordo la fatica, la mia e quella di chi, con me, portava avanti il corso per trovare una coerenza tra ciò che gli adulti praticavano e il lavoro di quei bambini, ricordo lo sforzo nel formarci partendo quasi da zero. Fino a quel momento si sapeva dell’esistenza di corsi di Judo e karate. Corsi di Aikido per bambini? Se ne vociferava ma poco si sapeva, l’informazione non circolava.

Nel mentre l’attenzione ci faceva osservare come erano continuamente possibili scoperte, e come artefici di queste scoperte fossero i bambini stessi. La passione, innanzitutto, che si trasforma in applicarsi negli esercizi, sempre vissuti come scoperte di un mondo nuovo, fatto di potenzialità organizzabili. Insomma, apprendere attraverso il gesto ludico poiché è indubbio che per un bambino il gioco sia vita, apprendimento. E poi c’è la fiducia che viene riposta nell’insegnante, che per qualche ragione viene chiamato maestro – se non per la maestria posseduta piuttosto per il ruolo di trasmissione di un sapere. Quello che colpì, e colpisce ancora, la mia percezione è il carattere di esperienza vissuta in modo “assoluto” che un’attività svolta da bambini disvela.

Ecco il senso del Budo, di via marziale, ben prima di una razionalità che vi ci si impegna, ma è lì, naturale, nel suo esserlo nella sostanza. Una rivelazione. Mancavamo solo noi, eravamo diventati consapevoli che non era l’Aikido ad essere difficile per i bambini, eravamo noi che non possedevamo sufficienti strumenti per stabilire la relazione a livello tecnico. È a questo punto che avviene l’incontro determinante. Così come è stato determinante per il mio Aikido l’incontro con Christian Tissier, accade che per l’Aikido giovani conosco Jean Michel Merit. La prima volta che lo vidi al lavoro e avevo così la possibilità di ascoltarlo, molto mi fu chiaro: tutto si può insegnare ai giovani aikidoisti, è esclusivamente questione di essere in grado di osservare quanto esprimono se liberi di farlo, per arrivare a comprendere quali elementi possono riprodurre, senza concedere nulla a interpretazioni semplificatrici e con un’attenzione continua che rispetta e salvaguarda un giovane corpo che si va costruendo. Nulla è impossibile, è questione di metodo e di gradualità, unito ad un rigore negli obiettivi motori da raggiungere per uno sviluppo coerente con l’età ma che, soprattutto, non sottovaluta (come sovente fanno gli adulti quando hanno a che fare con i bambini) le potenzialità naturali di ciascuno.

Il secondo punto di riflessione a cui mi ha condotto Jean Michel Merit è, se possibile, ancora più potente: la funzione educatrice è un autentico lavoro di “restituzione”.

La realtà e la società (Aikido incluso) in cui viviamo, nonostante i difetti che possiamo riconoscere, hanno dato, ad ognuno di noi, molto. Insegnare ai bambini ci dà la possibilità di restituire qualcosa alla società e renderci cittadini del mondo.

 

Nino Dellisanti
Associazione Shisei
http://www.shisei.it/shisei/home.html

Pubblicato nel 2011 su Akido Italia Network