di Giovanni Semeraro

Questo articolo comincia con un prologo:

PROLOGO

L’Uomo che Praticava le Tecniche dell’Aikido; pensavo di scrivere direttamente Aikidoka ma… molti giustamente sottolineano come l’Aikido sia molto di più della semplice pratica delle sue tecniche e che quindi un Aikidoka sia molto di più di un semplice praticante di Aikido, e che a ben vedere non esiste neanche una definizione universale e condivisa di questa “Via per l’Equilibrio dell’Energia” dati anche tutti gli scismi e le divisioni nazionali ed internazionali avvenute nel tempo al suo interno. Quindi… ho preferito definire il protagonista di questa storia come un semplice praticante… perciò… Uomo che Praticava le Tecniche dell’Aikido che per brevità possiamo accorciare nell’acronimo U.P.T.A..

L’UPTA era a cena al ristorante insieme ad amici, quando senza quasi neanche rendersene conto rimase coinvolto in un acceso e aspro diverbio su argomenti tutto sommato superficiali con un tizio del tavolo accanto, pure lui con amici, seduto talmente vicino da aver ascoltato le conversazioni del tavolo del nostro UPTA e che aveva poi fatto una serie di commenti sarcastici e provocatori proprio nei confronti del nostro personaggio.

Suo malgrado l’UPTA si era innervosito e aveva replicato secondo lui “a tono” ma, visto anche il fatto che su entrambi i tavoli non si erano consumate solo bevande analcoliche, dal diverbio si era poi passati agli insulti. Ovviamente, secondo il nostro UPTA, non da parte sua, si era solo limitato a replicare in maniera “sapida” ma non offensiva… sta di fatto che, pur essendo un pochino alticcio, lo sconosciuto ad un certo punto si alzò dalla sedia con una velocità inaspettata dall’UPTA e gli tirò un destro in faccia, senza preavviso.

Ora sorvoliamo sul fatto che si potrebbe sostenere che un “vero” Aikidoka non si sarebbe mai lasciato coinvolgere in una rissa, né tantomeno sorprendere da un attacco improvviso… è proprio per questo che stiamo parlando di un banale UPTA, non certo del padawan prediletto di qualche importante SS (Sommo Shihan).

Sì lo sappiamo che questo non è un destro, ma c’è chi può: Jacovitti può

Dunque un improvviso destro in faccia dicevamo, anzi, un semi gancio, per la precisione.

Bene, il nostro UPTA aveva tanti e tanti anni, qualche decennio, di pratica sul groppone, non stiamo a sottilizzare se tutti trascorsi praticando sistematicamente con almeno qualcuno più bravo di lui, oppure no Diciamo solo che nonostante l’età i suoi riflessi furono abbastanza buoni da riuscire ad alzarsi quasi completamente anche lui dalla sedia e ad intercettare questo colpo, subito identificato dalla sua affilata mente UPTA come una via di mezzo tra un jodan tzuki e uno yokomenuchi, afferrando con la mano sinistra il pugno nemico che calava diagonalmente verso il suo viso, e colpendo con l’avambraccio destro l’incavo del gomito destro del suo aggressore per sbilanciarlo.

Insomma, nonostante non gli sembrasse vero di essere realmente coinvolto in una rissa, tutte le ore di tatami lo avevano portato automaticamente a costruire la posizione di partenza di una tecnica difensiva da yokomenuchi… no, un momento: mancava un pezzo, l’atemi!

Qualcosa che si sottolinea spesso in molti dojo anche se non sempre poi lo si fa è simulare un pugno o un colpo equipollente al viso per “ammorbidire” uke, cioè un atemi.

Dunque, c’era chi sosteneva che il vero spirito della disciplina fondata dal Sommo Fondatore M.U. (oss!) prevede l’astensione dai colpi diretti, e solo l’assorbimento e il reindirizzamento senza contrasto dell’energia avversaria e la sua conseguente neutralizzazione E c’era invece chi giurava come il Sommo M.U. (oss!) stesso abbia affermato che “non esiste tecnica di Aikido senza prima atemi”. Il nostro UPTA era sempre stato padawan di Shihan della seconda specie, e perciò un bel pugnone lo simulava sempre; quindi perché non era partito automaticamente?

Se il tempo si fosse fermato e lui avesse potuto interrogarsi a mente fredda, forse si sarebbe dato questa risposta: “non ne ho avuto il tempo” E perché? “Be’, forse perché il 99% delle volte che ho provato difese da yokomenuchi, che peraltro per convenzione (??) si prova sempre in ai hanmi, simulavo un atemi contemporaneo al mio irimi, che dovevo immancabilmente fare sia se mi difendevo omote (facendo irimi-tenkan) che ura (con ikkyo undo).

Questa volta, non avendo tempo e spazio quasi neanche per alzarmi dalla sedia, il mio cervello ha accorciato la risposta tagliando la prima fase (irimi/atemi) e saltando automaticamente all’impostazione diretta della tecnica difensiva di… un momento… ma quale tecnica sto facendo? Ho il controllo del suo polso destro, vediamo… potrebbe entrarmi uno shihonage diretto, o un kaitensankyo… oppure lo carico in koshinage e lo sbatto sul tavolo come nei film… oppure un iriminage diretto, che forse avrei potuto fare sin dall’inizio ma, siccome in palestra non lo proviamo mai perché non è molto figo, non mi è venuto automatico e ormai lui mi è quasi addosso… boh, qualcosa devo decidere… mi è sempre venuto bene lo shihonage… lo faccio”.

Ecco, immaginiamo che sia stato questo il dialogo interiore che alla fine ha portato il nostro UPTA, in non più di un paio di decimi di secondo (perché lui era uno bravo) a decidere di tentare uno shihonage diretto. Una mano, la sinistra, era già sul polso destro dell’aggressore, la destra scese fulmineamente dal gomito al polso anch’essa, subito sopra la sinistra, e l’UPTA cominciò il movimento omote diretto per torcere il braccio al suo avversario.

Il quale avversario, però, non era stato per nulla “ammorbidito” prima e, pur non essendo esattamente Ip Man, aveva ancora la sinistra libera. E già: perché quasi tutte le tecniche di Aikido (di cui l’UPTA era esperto) prevedono di avere entrambe le mani su di un unico arto di uke il quale, abbastanza cooperativamente, non usa mai l’altra mano per alcuna bastardata.

E invece, mentre il nostro UPTA iniziava a torcergli il braccio, il “cattivo” riuscì comunque a tirargli uno sganassone sul muso, prima di accusare un dolore intenso all’altra spalla e all’altro gomito. “E per fortuna che non era davvero Ip Man e non mi ha ficcato le dita negli occhi o le nocche in gola” pensò l’UPTA mentre sopportava stoicamente, grazie anche ai tanti anni da uke, il dolore allo zigomo per lo sganassone a cinque dita che si era appena preso.

Il resto, però, filò liscio: riuscì a passare avanzando sotto la spalla di uke (senza andare a sbattere da nessuna parte in quegli spazi ristretti e affollati), poi a girarsi in kaiten, e infine a costringere a terra il suo avversario, con una potente leva shihonage conclusa perfettamente, nonostante le premesse e anche grazie al fatto che il suo aggressore non era esattamente una macchina da guerra, ma semplicemente un “bischero” un po’ brillo.

Fu quindi quasi più con stupore che con dolore che si accorse dell’improvvisa e violenta fitta alla spalla: “Porca p*****a!!!” – ebbe la lucidità di pensare, guardando il coltello piantato nel deltoide della sua spalla sinistra. E sì, perché la moglie del suo aggressore, spaventata, preoccupata per le sorti del marito e incazzata nera, aveva avuto la bella pensata di utilizzare il coltello con cui stava fino a pochi istanti prima tagliando la pizza, per colpire a casaccio il nostro capace UPTA mentre sottometteva suo marito (e menomale che non l’aveva accoltellato al collo).

Senza lasciarsi sopraffare dallo shock il nostro eroe, dopo aver addirittura pensato “Ma questo è uno sporco randori!!!” decise di cercare alfine un modo non violento per comporre la situazione, rivolgendosi con parole conciliatorie verso la nuova avversaria: “Ma che cazz…” – ebbe però appena il tempo di dirle, quando si accorse che nel frattempo la donna aveva preso al volo una bottiglia dal tavolo e gliela stava calando sulla testa. Provò a ripararsi con il braccio ma questo, forse per la ferita, non si mosse abbastanza velocemente.

L’ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi e risvegliarsi ore dopo al Pronto Soccorso, fu del liquido rosso che gli colava sul viso, dalla bottiglia appena frantumatasi sulla sua testa.

Non seppe mai che si trattava di “Five Roses” dell’antica Cantina salentina “Leone de Castris”, il primo vino rosato ufficialmente riconosciuto in Italia.

FINE DEL PROLOGO