Questo articolo finisce con un Epilogo:
EPILOGO
Un paio di mesi dopo, l’UPTA aveva ancora il braccio dolorante e un bel paio di cerotti sia in testa che sulla spalla. Per sua fortuna, la lama del coltello era stata parzialmente bloccata dal tessuto della giacca jeans che lui indossava quella dannata sera e la punta era penetrata giusto 2-3 cm nel muscolo restando poi lì, senza recidere alcun vaso sanguigno o tendine/legamento articolare. Stessa cosa per la testa, niente di serio, nessun osso rotto, solo un bel po’ di punti che resteranno invisibili fino a che non dovesse diventare calvo.
Meno male che quella donna non era una professionista del crimine…
In compenso, le cose non si erano messe per niente bene, né per lei né per il marito.
Il suo avvocato gli aveva detto che lui stesso non rischiava alcuna accusa di rissa, perché poteva dimostrare di non essere potuto scappare e perché il suo aggressore non aveva riportato nessuna accertata lesione dallo shihonage (nonostante il farabutto fosse andato pure lui al Pronto Soccorso a millantare chissà quale dislocazione). Invece, i Carabinieri intervenuti avevano denunciato lui per aggressione e sua moglie per lesioni aggravate. Ora si trattava di vedere se preterintenzionali o volontarie (con i giudici non si sa mai), però in entrambi i casi il suo avvocato contava di ottenere per lui dei risarcimenti dell’ordine della decine di migliaia di euro, e anche di più.
Seduto al computer, stava leggendo un articolo on-line sul sito di una delle grandi associazioni di Aikido cui era iscritto, che trattava per l’ennesima volta la questione dell’utilità o meno dell’Aikido come difesa personale.
“Ma lo capisce anche un bambino che tutto dipende da quello che cerchi, nell’Aikido!” – sbuffò mentalmente l’UPTA – “O un sistema per difenderti, oppure un sistema per migliorare te stesso come persona”.
Ancora si discute di queste cose? Ora che ci ripensava, però, si rese conto che se ne continuava a parlare eccome: erano in molti quelli che continuavano a dire che l’Aikido si doveva evolvere, doveva integrare tecniche e situazioni più realistiche, e bla bla bla…
E perché avrebbe dovuto farlo? Per essere un sistema di difesa migliore, cioè più Efficiente.
E perché?
Se sistemi di combattimento più efficienti non esistessero già, allora questa domanda potrebbe avere un minimo di senso, ma ce ne sono già tanti, soprattutto per ovvi motivi quelli di derivazione militare e di polizia (a cominciare dal Krav Maga quello vero, ma non solo: ce n’erano ormai molti altri, persino uno italiano DOC). Quindi, se uno cerca la massima efficienza difensiva, trova già sul mercato quello che gli serve già pronto, senza che l’Aikido debba modificarsi per diventare la brutta copia di altri sistemi. Poi c’erano quelli che dicevano che bisognava introdurre l’agonismo, cioè le gare e le competizioni, anche nell’Aikido, così si sarebbe perfezionato.
L’UPTA pensò inorridito alla fine che secondo lui aveva fatto il Judo di Kano (oss!), da quando venne introdotto l’agonismo: cioè una serie di regole che, per consentire le gare, tolsero tante di quelle tecniche e possibilità al combattimento da sfiorare il paradosso. Ormai in molte gare di Judo, ai bassi come agli alti livelli, ci si rifugia spesso nella posizione difensiva “a tartaruga” (cioè stesi sulla pancia e con gomiti e ginocchia allargate) perché così è difficile per tori prendere il sopravvento, viste le regole che vietano qualunque cattiveria. Peccato che, nella realtà, chiusi in una posizione a tartaruga, siamo vulnerabili persino ad un bambino dodicenne in piedi che ci prenda a calci in testa. Sicuramente il Judo, nel passaggio da “tradizionale” ad “agonistico” ha perso molto in termini di Efficienza “da strada”.
L’ultima categoria di “evoluzionisti dell’Aikido” poi sono i più subdoli: quelli che con tono grave e inesorabile, sentenziano che: dobbiamo cambiare per invertire l’attuale tendenza “demografica” dell’Aikido. Sempre meno praticanti, e sempre più anziani. Questo era l’argomento peggiore, perché non aveva niente a che fare né con l’efficienza reale della disciplina, né con il miglioramento di sé. Era una pura considerazione politico/commerciale: meno praticanti implica meno soldi, e meno potere politico a livello nazionale e locale fino all’interno della singola palestra multidisciplinare.
All’UPTA tutto questo non interessava: magari non era una macchina da guerra capace di sopravvivere “nei peggiori bar di Caracas”, magari le tecniche di Aikido non gli venivano neanche granché bene, ma praticare Aikido gli piaceva, sentiva di guadagnarci qualcosa a livello fisico e mentale, persino “filosofico”. Ogni cosa, fatta con impegno, produce una crescita, può essere una “Via”. In Giappone persino la cerimonia del tè, o la calligrafia, o il bonsai, o l’origami o tante altre attività potevano diventare delle Vie verso l’equilibrio con sé stessi, e con ciò che ci scorre dentro. Come mille altre cose anche in Occidente, dal ballo alla corsa estrema, dal surf al giardinaggio, o alla cura delle api.
L’UPTA ricordava di aver sentito l’Aikido definito da qualche parte come “la disciplina marziale più filosofica”. Be’ allora pazienza se gli iscritti restavano in pochi. Forse è l’Aikido stesso, quello “vero”, ad essere per pochi. Come la “vera” Filosofia.
FINE DELL’EPILOGO
Qui finisce la storia del nostro Uomo che Praticava le Tecniche dell’AIKIDO. In fondo non male, come UPTA: era quasi un Aikidoka.